RANGO: la recensione

Rango è un camaleonte lunatico e bizzarro che sogna di essere, più che diventare, un’ attore, perchè lui crede di poter essere “ciò che vuole quando vuole“. Il piccoletto verde, vestito di una camicia hawaiana, viene perso dai padroni nel bel mezzo del deserto ma senza farsi tanti fronzoli cerca di sopravvivere nell’inospitale posto, fino a quando giunge nella città di Polvere, un piccolo insieme di case di legno, prigioni, banche e saloon in cui non vi è più acqua e gli animaletti che ci abitano sono disperati, come l’identità di Rango. Rango in effetti non è il suo vero nome, inventato per essere accettato nel villaggio, assieme alle sue peripezie da eroe completamente inventate; lui di cui non sappiamo il vero nome o le origini, anche se è solo un camaleonte, ma poco ci importa, come Lo Straniero Senza Nome di Clint Eastwood, che in questa pellicola appare in un cameo digitale e allucinatorio nella parte dello Spirito del West, in una scena onirica veramente bella.

Non è l’unica citazione che c’è nel film, anzi, ne è pieno, con rimandi ad altri film come Star Wars: Una Nuova Speranza, la battaglia nel canyon identica a quella sulla Morte Nera, Paura e Delirio a Las Vegas, si vedono i due protagonisti in macchina all’inizio del film, Pirati dei Caraibi, Chinatown, classiche scene da film spaghetti-western e chi più ne trova, più ne metta.

Rango è stato studiato a priori per assomigliare nei movimenti e nei gesti scanzonati di Jonny Depp che lo ha doppiato nella versione originale, dando un tocco di humor al personaggio già strambo, mentre Isla Fisher, la Leila di Star Wars, doppia Borlotta (Beans in originale), la lucertola femmina che porta Rango nel villaggio, ma diffida delle sue qualità. Il regista, Gore Verbinski, autore dei tre Pirati dei Caraibi, di The Ring e The Mexican, ha studiato benissimo le scene e i linguaggi da western, mettendo in scena un’insieme di inquadrature classiche già straviste ma funzionali. Non cade mai nel convenzionale o nello scadente, a parte la sceneggiatura buona ma con battute un po’ troppo infantili e sketch più o meno divertenti.

Rango non è la classica storia convenzionale, il prodotto da bambini deficienti, che piace facilmente anche agli adulti o commuove i più sensibili. NO. Rango è un western a tutti gli effetti e in animazione (e che animazione!) in cui si sente la pesantezza e il calore del far west, la ruvidità della sabbia e l’arido che c’è nei personaggi che ci abitano grazie a primi piani incisivi, tipici del genere. Un modo anche per avvicinare i bambini a questo genere rivisto di recente solo grazie a Il Grinta, ma che poco ci offre ai giorni d’oggi. Rango è un film sporco e imperfetto ma con riprese perfette e suggestive che non deve piacere per forza ma lascia qualcosa a tutti.

In fin dei conti Rango è un viaggio, non banalmente finalizzato a ritrovare i padroni perduti, ma un viaggio che ci porta “dall’altra parte“, che per comprendere cosa sia dobbiamo compierlo, perchè ognuno è responsabile della propria storia.

ScappoDammit